La seconda volta non si scorda mai

Francesco Raniero Martinetti non si scorda nemmeno la prima:

Non abbiamo pace né tregua: già i panettoni più o meno cinematografici si susseguono in ogni periodo, Natale compreso, se poi ogni comico definito(si) tale pretende di poter diventare un'icona cinematografica stiamo messi abbastanza male. E la riprova del degrado e del declino ce la da' il film di Alessandro Siani - diretto da Francesco Raniero Martinetti - che dopo il mediocre e fin troppo 'locale' "Ti lascio perché ti amo troppo", tenta il salto al pubblico nazionale che lo conosce già per la Tv ("Bulldozer") e per i film di Neri Parenti, con una commedia sentimentale classica. E tanto vuota da risultare inesistente.

Parlare di trama sembra troppo: Giulio è l'agente immobiliare che deve vendere una casa a Ilari (l'ex compagna di liceo di cui era innamorato) e il suo promesso sposo. Ma tra i due nasce qualcosa che porta a rivedere tutte le loro vite.

Scritta da regista e interprete con Francesco Albanese, una commedia sentimentale dalle ambizioni da serie A, ma dai risultati poco più che provinciali, che cerca disperatamente di ripercorrere le tappe di Massimo Troisi ma finisce invece per annegare nel vuoto pneumatico di idee, donne o gag.
Ambientato in una Napoli assolutamente anonima e lontana da qualunque forma di poesia folcloristica, sebbene si tenti di dileggiare stereotipi e costumi, il film è una banalissima, asfittica, insensata storia d'amore e affetto che supera gli anni e che vorrebbe far ridere mescolando l'humour basso della popolarità partenopeo ai toni leggeri, surreali, evanescenti dell'approccio troisiano (o nel peggiore dei casi pieraccionesco) alla commedia, come a dimenticare del tutto la lezione del maestro, lo sguardo candidamente disilluso sulla realtà.
Cosa che a Siani non viene neanche in mente di chiedere, data la sua evidente pochezza come attore e autore (per non dire di quella come cabarettista Tv), ma risulta sconcertante che questa cosetta abborracciata il cui livello filmico è vicino ai due film 'cult' di Gigi D'Alessio, non riesca mai a strappare una ristata, a costruire una situazione divertente senza ricorrere a gag usate mille volte, dovendo usare per far ridere la barzelletta (come al processo) o la solita scena della cena di famiglia, resa peraltro più digeribile dall'uso di collaudati comprimari come Paolo Ruffini e Marco Messeri.

Struttura infantile, humour partenopeo tanto di bassa lega da sfiorare il cattivo gusto, assenza di ritmo, di storia, di regia (basti pensare che i primi piani sono quasi tutti tagliati in testa, e non per colpa del proiezionista), attori inguardabili - la Canalis è una garanzia - e un protagonista inadatto. Questo è lo scioccante quadro che si trova di fronte lo spettatore di un filmetto risibile e inutile, dove il cinema è in agonia dal primo minuto e dietro la facciata della simpatia napoletana emerge una presunzione e un'antipatia che sfidano le leggi del mercato e del cinema. Speriamo che sia flop.